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Un mondo alla moviola

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In Italia il mondo del calcio va al rallentatore: non solo stadi obsoleti e club sempre più distanti dai top team del calcio europeo, ma anche una cultura retriva e refrattaria a ogni novità.
Il discorso del mental coaching è forse l’emblema principale di come il calcio rappresenti un ambiente retrogrado in cui la deriva machista “dell’uomo che non deve chiedere mai” la fa ancora da padrona. Qualche giorno fa parlavo con un dirigente di spicco di una società professionistica. Sapete cosa mi ha detto?: “Ho apprezzato il tuo libro ‘Campioni si diventa’, dovrebbero leggerlo tutti i ragazzi che fanno sport, ma rimango dell’idea che un giocatore che non riesce a risolvere da solo i suoi problemi è una mammoletta, uno che non ce la farà mai ad avere successo. Il calcio non è uno sport per signorine”. Sì, mi ha detto proprio così, da non crederci, vero? E vi garantisco che si tratta di una persona squisita.
Siamo nel 2016 e la cultura del mondo del calcio è ferma all’Italia del dopoguerra, o peggio ancora all’Italia del ventennio fascista quando si era veri uomini soltanto se, come il duce, si ostentava il petto falciando il grano. Per questo modo di pensare, imperante presso la maggioranza di dirigenti e allenatori, è passato invano un secolo di psicologia, un secolo di studi ed esperienze che hanno dimostrato come i veri uomini e le vere donne siano quelli che sanno chiedere aiuto, quelli che sanno riconoscere i loro problemi per poi superarli e diventare persone migliori. A questi personaggi che dicono che “il calcio non è uno sport per signorine”, non importa che negli Stati Uniti sia difficile trovare giocatori della Nba e della Nfl che non si avvalgano di un mental coach, non importa sapere che campionesse come Federica Pellegrini e Isolde Kostner abbiano tratto enorme giovamento da un supporto mentale. Non gli importa che dal ritiro della Nazionale Mattia Di Sciglio abbia pubblicamente ringraziato il suo mental coach per averlo aiutato a superare un periodo difficile e che altri campioni azzurri come Bonucci e Candreva collaborino con un mental coach; no, loro, quando sentono parlare di allenamento mentale storcono il naso e, in fondo in fondo, pensano che una bella urlata negli spogliatoi condita da un paio di bestemmie sia più che sufficiente per la crescita psicologica di un ragazzo.
Decine di ragazzi mi scrivono in privato per chiedermi consigli e per dirmi che a loro parere dovrebbe esserci un mental coach in ogni squadra. Sono i ragazzi l’anello più evoluto del sistema, alla faccia di chi confonde la categoria dei calciatori con quella minoranza di milionari che vive di veline e Porsche. I calciatori sono pronti, non lo sono i dirigenti – che incolpano gli allenatori dicendo “fosse per me sarei favorevole al mental coach, ma gli allenatori non li vogliono perché temono di sentirsi esautorati”- , non lo sono gli allenatori – che incolpano i dirigenti dicendo: “fosse per me sarei favorevole al mental coach, ma i dirigenti non li vogliono perché considerano secondario l’aspetto mentale”. Insomma, un rimbalzo della responsabilità che impedisce al calcio di fare un importante passo in avanti culturale. Le cose stanno lentamente cambiando; conosco giovani allenatori estremamente sensibili all’importanza della psicologia nel calcio. Entro una decina di anni la figura del mental coach sarà consuetudine, anzi, diventerà moda (una volta si rideva di figure come il personal trainer o il procuratore o il nutrizionista, ora sono imprescindibili), ma la strada è ancora lunga: psicologi, mental coach, professionisti del sostegno personale, media e giocatori, a mio avviso, devono unirsi per fare capire a chi di dovere (le società calcistiche) che l’allenamento mentale non è un lusso, ma una componente fondamentale e necessaria per la produzione del risultato e per il benessere personale.

Se vuoi saperne di più sulla preparazione mentale e sull’importanza della mente nel calcio, leggi “Campioni si diventa”.
Campioni si diventa” di Marco Cassardo (Cairo Editore) è in tutte le librerie al prezzo di € 14.
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Marco Cassardo
Marco Cassardo
è scrittore e mental coach dei calciatori. Si è formato in Coaching e Programmazione Neurolinguistca (PNL) conseguendo i titoli di Coach Certificato ICF (International Coach Federation) e Master Practitioner in PNL. Ha scritto il saggio sportivo "Belli e dannati" (Limina, 1998, 2003) e tre romanzi: "Va a finire che nevica" (Cairo 2007), "Mi manca il rosso" (Cairo 2009),"Un uomo allegro" (Miraviglia Editore, 2014). Nel marzo 2016 è uscito il suo libro dedicato all'allenamento mentale dei calciatori: "Campioni si diventa" (Cairo).

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