“Non importa quanto si vive, ma con quanta luce dentro” scrive Roberto Vecchioni nel suo romanzo “Il mercante di luce”.
E’ una frase adattabile al mondo del calcio. Potremmo dire: “Non importa quanto giochi, ma come giochi”.
Molti calciatori sono monopolizzati dalla preoccupazione di essere o meno titolari la domenica. Se sono destinati alla panchina, tendono a farsi prendere da sentimenti come rabbia, demotivazione o rancore. E’ umano, comprensibile, ma perfettamente inutile, anzi dannoso per se stessi e per la squadra. Con un approccio e un atteggiamento mentale del genere, secondo voi, quando saranno chiamati in causa, come giocheranno? Male, presumo. Entreranno in campo da depressi. Oppure vorranno strafare per dimostrare al mister che sono dei fenomeni, vorranno dribblarne sette, mettere a sedere il portiere ed entrare in porta con il pallone. Meglio 90 minuti da asini o 20 minuti da leoni dopo essersi mostrati capaci di accettare la panchina e di fare gruppo? Conta la qualità, non la quantità: è una regola aurea che vale in ogni ambito della vita; perché non dovrebbe valere nel calcio?