L’importanza della “visualizzazione” ha colpito ancora. Sentite cosa ha dichiarato il numero uno del mondo Djokovic dopo la strepitosa finale di Wimbledon in cui ha sconfitto Federer al tie break del quinto set: “Mi preparo per ogni possibile scenario, provo a giocare i punti nella mia testa, e ovviamente alla fine mi vedo vincitore. Questo mi permette di avere stabilità mentale anche nelle difficoltà, di trovare dentro di me il coraggio e le emozioni per ribaltare situazioni sfavorevoli”.
Poi aggiunge: “Quando hai la maggioranza del pubblico che tifa per te, ricevi un grande aiuto, una grande motivazione, accresci le tue energie in campo. Quando non succede, come a me in questo caso, devi essere bravo a trovare la soluzione dentro di te. Come faccio? Quando la gente grida ‘Roger’ io fingo di sentire che dicano ‘Novak’, lavoro con l’immaginazione per autoconvincermi”.
Djokovic (come Nadal) è un gigante della forza mentale, Federer no.
Roger è uno degli sportivi più angelici di tutti i tempi (alla pari con personaggi come Coppi, Muhammad Alì, Carl Lewis), ma, al di là della retorica collettiva che lo ha reso immune da ogni critica e ci costringe a tapparci le orecchie ogni volta che qualcuno prova a deviare dal pensare comune, è giunto il momento di sgombrare il campo dagli equivoci e di sottolineare, per l’ennesima volta, come a tutti i livelli sia la mente a fare la differenza. Ebbene, Federer, a livello di forza mentale, è un paio di passi indietro sia a Djokovic sia a Nadal. Sono i numeri degli scontri diretti a certificarlo (22 a 26 contro Nole, 1 finale Slam vinta e 4 perse: 16 a 24 contro Rafa, 3 finali Slam vinte e 6 perse); sono le 22 partite che nel corso della sua carriera ha perso dopo aver gettato alle ortiche un match point; è la constatazione che dei suoi 20 titoli Slam ne ha vinti soltanto 4 negli ultimi dieci anni dimostrando di non sapere reggere fino in fondo la rivalità con i due fenomeni. E’, infine, la strepitosa finale del 14 luglio a certificare che il tallone d’Achille di Roger è la forza mentale: partita sublime, colpi irreali, ma tre tie break su tre giocati in modo pessimo e due match point sprecati sul suo servizio. E allora? Cosa vogliamo raccontarci? Che è stato sfortunato? Che era stanco? Frottole. Mi spiace deludere chi da anni attribuisce all’età di Roger la causa delle sue frequenti sconfitte contro Rafa e Nole. Federer sta benissimo, regge ancora quasi cinque ore a livelli altissimi ed è un miracolo di longevità. No, il tallone d’achille non è l’età, è una minor capacità di reggere la pressione e di giocare i punti decisivi. Sì, proprio così, il Dio del tennis, quando incrocia la strada con il diavolo serbo e il guerriero spagnolo, soffre di “braccino”. Nole e Rafa, al contrario, quando incontrano il maestro di Basilea diventano mostri di resilienza e organizzano attorno alla forza mentale i loro trionfi.